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elezioni provinciali 27 ottobre 2013


Trento, 22 ottobre 2013
Italia vs Germania
Giorgio Viganò
Candidato con “Ecologisti e civici- Verdi europei”

Economia sociale di mercato o economia di mercato sociale? Economia verde o economia blu? Non è solo una questione di sfumature, ma di visioni diverse rispetto al modello di sviluppo e, in sostanza, di società.

Il primo spunto mi viene da Luigino Bruni, economista dalle larghe e ardite visioni e animatore instancabile dell’economia di comunione, l’esperienza nata da un’intuizione geniale di Chiara Lubich. Bruni, insieme a Stefano Zamagni – entrambi molto noti al pubblico trentino – è pure tra i principali ideatori della Scuola di Economia Civile (SEC), che proprio in questi giorni ha iniziato ufficialmente le proprie attività di formazione a Incisa Valdarno, in Toscana. Si tratta di una scuola che riprende e aggiorna una nobile tradizione nata nel 1700 in Italia, grazie soprattutto all’opera di Antonio Genovesi, il primo al mondo a ricoprire all’Università di Napoli una cattedra di economia.

Tra i promotori della SEC ci sono importanti realtà associative come le ACLI, Banca Etica e la Cooperazione Trentina: quale occasione migliore per farne il punto di riferimento per rigenerare una politica che sembra aver smarrito la propria funzione fondamentale di servizio al bene comune?

Bruni, nel suo stimolante libro “Economia con l’anima”, si permette di sfidare nientemeno che il modello germanico, fresco di riconferma con la schiacciante affermazione di Angela Merkel, un modello che anche l’ex presidente del Consiglio Mario Monti additava ad esempio: “un’economia sociale di mercato altamente competitiva”. Bruni invita ad essere diffidenti di tesi e slogan che sembrano accontentare tutti, i cultori del mercato e della sua efficienza e i preoccupati delle istanze solidariste, sottolineando che l’economia sociale (o civile) tradizionale e l’economia liberalcapitalistica sottendono due umanesimi diversi: per la prima “il mercato è buono e civile quando è in sé espressione di socialità, quando è mutualistico e comunitario”; per la seconda “il mercato è ambito eticamente neutrale e il sociale è tipico della sfera privata e filantropica”; per la prima l’economia è “un ambito retto dalle stesse leggi che regolano l’intera vita sociale”, per la seconda “un luogo separato e con proprie leggi (business is business, gli affari sono affari)”.

La nostra forza, la nostra economia sociale di mercato, dice Bruni, sono le cooperative, le casse rurali, le aziende a conduzione familiare, le imprese del sociale, le piccole e medie imprese dei distretti industriali, che insieme rappresentano “ancora oggi la stragrande maggioranza dell’economia del Paese”. E la conclusione del capitolo non può essere più eloquente: “Non è indispensabile guardare alla Germania, basta guardare meglio il Paese reale per ritrovare una straordinaria economia di mercato sociale, che in questi ultimi decenni non è stata più vista e capita, ma spesso è stata offesa. È un’economia vitale, che non aspetta altro che di ripartire, attingendo alla nostra storia e ai nostri valori, che sono anche valori economici. Mi sembra davvero superfluo dire che il Trentino non può sottrarsi a questa sfida!

Il secondo spunto mi viene da Gunter Pauli, economista e imprenditore belga, autore di “Blue economy”, un libro avvincente che avevo recensito due anni fa per Vita Trentina, nel quale l’autore illustra nel dettaglio 100 innovazioni che aprono mente e cuore alla speranza. Di fronte alle tante e sempre più evidenti contraddizioni del nostro modello di sviluppo, che trovano riscontro nella grave crisi ecologica e nell'accelerazione dei cambiamenti climatici - le anticipazioni del V rapporto dell’IPCC che sarà presentato il 27 settembre ci dicono che ci restano solo 10 anni per salvare il pianeta - oggi si fa strada la prospettiva della green economy, alla quale sembrano convertirsi anche i decisori politici delle grandi potenze mondiali. Ma la green economy rimane vincolata alla logica della riduzione del danno e, come scrive Gunter Pauli, “ha richiesto alle imprese di investire di più e ai consumatori di spendere di più, per ottenere la stessa cosa o anche meno, preservando nel contempo l'ambiente. Sebbene ciò fosse già arduo durante il periodo d'oro della crescita economica, è una soluzione che ha poche speranze in un periodo di congiuntura economica. Infatti la green economy, nonostante l'impegno e le buone intenzioni non ha ottenuto il successo che tanto desiderava.

La blue economy affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione; lo scopo non è investire di più nella tutela dell'ambiente, ma di spingersi verso la sua rigenerazione”.

La blue economy, così chiamata in omaggio al nostro “pianeta blu”, in sostanza si propone di attuare strategie di biomimesi o bioimitazione, vale a dire riprodurre i meccanismi fisici e biochimici che la natura, gli esseri viventi (animali, piante, microorganismi...) hanno affinato nel corso dell'evoluzione per la propria sopravvivenza. La sfida è interessante!

La blue economy promette di creare maggiori flussi di reddito e di creare molti milioni di nuovi posti di lavoro con minore impiego di capitali. Le applicazioni sono le più varie: edifici a basso consumo energetico ispirati ai termitai, funghi pregiati dai fondi di caffè, rigenerazione di foreste pluviali dalla simbiosi di funghi e piante autoctone, biocarburanti e integratori alimentari dalle alghe, come la spirulina, rasoi con lamette di seta in sostituzione del titanio, conservazione di vaccini senza congelatori, aghi indolori per diabetici, nano-pacemaker con costi 100 volte inferiori e molto altro ancora. Leggere per credere! Un’opportunità tutta da indagare per una terra come la nostra che punta all’eccellenza in molti settori.

Giorgio Viganò
Candidato con “Ecologisti e civici- Verdi europei”

 

 

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